Posts made in marzo, 2017


Pratiche come lo yoga e la meditazione da secoli sono chiavi per raggiungere il relax. Ora uno studio scientifico spiega perché. Un team di ricercatori dell’University of California a San Francisco ha scoperto un nuovo tipo di neuroni, che collega il ritmo del respiro alla sensazione di allerta. In uno studio sui topi si è visto che distruggere questi neuroni rende gli animaletti molto calmi, e questo può spiegare perché la respirazione profonda faccia sentire le persone così rilassate. Kevin Yackle e il suo gruppo hanno chiamato queste cellule cerebrali i ‘neuroni pranayama’, riferendosi proprio a un esercizio di respirazione dello yoga.

Gli scienziati li hanno identificati usando un database dell’attività dei geni in diversi neuroni dei topi. Ebbene, i neuroni pranayama sono gli unici nella loro area cerebrale a produrre due particolari proteine. Ci sono solo 350 ‘neuroni della calma’ nel cervello di un topo, localizzati in una regione responsabile del controllo del respiro. I ricercatori hanno scoperto che le cellule si collegano ad un’area vicina, nota per controllare l’allerta. A questo punto hanno ingegnerizzato tre topi uccidendo i loro neuroni pranayama, senza toccare le altre cellule cerebrali. Una volta che i neuroni sono stati distrutti, gli animali hanno iniziato a respirare più lentamente. Non solo, sono diventati meno curiosi e molto più ‘coccolosi’. Insomma, erano molto rilassati.

Il ruolo normale di questi neuroni potrebbe essere quello di far sì che, quando gli animali sono attivi e impegnati nell’esplorazione dell’ambiente, respirando rapidamente aumenti l’allerta. Se lo stesso meccanismo funziona nelle persone, respirare più lentamente renderebbe i neuroni meno attivi, riducendo i livelli di stress. In futuro, l’idea è quella di poter disegnare dei farmaci che ‘spengano’ l’attività dei neuroni senza danni.

“Si tratta di un lavoro molto interessante – commenta all’AdnKronos Salute Marcello D’Amelio, associato di Fisiologia umana e Neurofisiologia presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma – I neuroni pranayama regolano il ritmo del respiro. Ebbene, la maggior parte dei decessi in chi usa sostanze di abuso è legata proprio a morte respiratoria per effetto degli oppioidi. Lo yoga, inoltre, favorisce il rilascio di oppioidi endogeni e la mia ipotesi è che il relax determinato dalla riduzione della frequenza del respiro sia legato proprio a queste endorfine”, conclude.

fonte: ADNKRONOS

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Uno studio della Northwestern University Feinberg School of Medicine ha riscontrato che alcune funzioni cerebrali possono essere condizionate dalle fasi della respirazione.
Non c’è niente di più naturale che respirare. Alla base della nostra sopravvivenza, è un processo biologico che compiano di continuo, ci garantisce il necessario apporto di ossigeno e può variare in intensità. Ora i ricercatori della Northwestern University Feinberg School of Medicine per la prima volta hanno suggerito che il ritmo della respirazione è in grado di generare attività elettrica nel cervello e, in questo modo, incidere sulla memoria e su emozioni quali la paura.

Lo studio, pubblicato sul Journal of Neuroscience, ha scoperto che i volontari coinvolti riuscivano a riconoscere più facilmente una faccia spaventata durante la fase di inspirazione rispetto a quella di espirazione. Un effetto simile si è riscontrato anche nel richiamare alla memoria un oggetto, poiché il processo è risultato più semplice mentre si inspira. Ulteriore aspetto evidenziato dallo studio è che la differenza è apprezzabile solo in caso di respirazione tramite il naso, poiché non vi sono discrepanze quando si utilizza la bocca.

Nel dettaglio, gli studiosi hanno notato che l’attività cerebrale muta nell’amigdala e nell’ippocampo quando inspiriamo rispetto a quando espiriamo; infatti, vengono stimolati i neuroni in tutto il sistema limbico. La base di partenza per la ricerca è stata comunque l’analisi di sette pazienti con epilessia per i quali era previsto un intervento chirurgico al cervello.

Pochi giorni prima dell’intervento stesso sono stati acquisiti i dati dai cervelli, grazie a degli elettrodi impiantati da un chirurgo per comprendere l’origine degli attacchi epilettici. In questo modo i segnali elettrici rilevati hanno mostrato la variazione di alcune attività cerebrali con il respiro. Una scoperta che ha spinto gli scienziati a domandarsi se fosse possibile stabilire una relazione proprio fra le funzioni associate alle aree coinvolte e la respirazione. E’ stato perciò chiesto a 60 volontari di indicare più rapidamente possibile il tipo di emozioni espresse da alcuni volti (per esempio, sorpresa o paura) visualizzati al pc, mentre veniva registrato il loro respiro.

I risultati ottenuti sono stati i seguenti: durante la fase di inspirazione i soggetti hanno riconosciuto i visi spaventati (ma non quelli che indicavano stupore) in maniera più veloce che non durante l’espirazione. Un effetto singolare che però è stato riscontrato solo durante la respirazione con il naso e che si annulla in caso si svolga la stessa operazione con la bocca. Nella seconda parte dell’esperimento è stato invece chiesto ai partecipanti di ricordare alcune immagini che apparivano sempre sullo schermo di un PC. Quando le foto erano visualizzate nella fase di inspirazione il richiamo alla memoria è risultato più immediato.

La conclusione evidenziata da Christina Zelano, autrice principale della ricerca, è che nelle situazioni di panico il ritmo della respirazione aumenta e, di conseguenza, la fase di inspirazione è molto più lunga rispetto ai momenti di serenità. In questo modo il respiro accelerato potrebbe avere un effetto sul lavoro che compie il cervello ed aiutare a prendere decisioni più veloci in circostanze pericolose.

fonte: REPUBBLICA.IT

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Lo stress viene definito da Umberto Galimberti (2006) nel suo dizionario di psicologia come “reazione emozionale intensa a una serie di stimoli esterni che mettono in moto risposte fisiologiche di natura adattiva.

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Stress ed ansia spesso vengono confusi ma non sono la stessa cosa.
In senso generale possiamo definire lo stress come una risposta automatica ad eventi fisici, sociali o psicologici.Il grado in cui un evento può provocare stress varia da individuo ad individuo ed è legato alla propria personalità, alla propria storia di vita ed alla personale capacità elaborativa degli eventi.

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Gli effetti dello stress prolungato ricadono inevitabilmente sulla nostra mente e sul nostro corpo. L’individuo è normalmente in grado di fronteggiare una esposizione a stimoli stressanti di breve durata, ma di fronte ad una esposizione intensa e prolungata nel tempo tenderà ad aumentare una tensione psichica interna che inevitabilmente si scaricherà sul corpo.

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Imparando a rilassarsi con specifiche tecniche, andiamo a riequilibrare il sistema simpatico/parasimpatico che lo stress ha alterato, ristabilendo quindi un equilibrio fondamentale per la nostra salute psico-fisica.

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Respirare è una attività automatica, tuttavia tendiamo sempre di più a compiere questo atto vitale in maniera non corretta. Da piccoli la nostra respirazione viene effettuata con il diaframma in maniera assolutamente naturale, man mano che cresciamo e diventiamo sempre più permeabili agli stress, tendiamo a maturare dei blocchi emotivi che incidono negativamente anche sul nostro modo di respirare limitando alla parte superiore dei polmoni la nostra capacità respiratoria , con conseguente aumento dell’ansia e scarsa energia vitale.

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La tecnica meditativa si sta dimostrando un metodo efficace per la gestione dello stress.

Studi condotti sul cervello dei monaci buddisti, che praticano regolarmente la meditazione, hanno evidenziato un aumento delle onde alfa, soprattutto nelle aree frontali, onde che danno origine ad uno stato biologico di rilassamento. La pratica meditativa riduce la produzione di neurotrasmettitori e ormoni dello stress (adrenalina, noradrenalina, cortisolo) mentre tende a far aumentare la melatonina e la serotonina, sostanze che inducono uno stato di rilassamento e di profondo benessere.

I benefici della meditazione incidono positivamente su chi soffre di attacchi di panico oltre che su numerose altre malattie come ad es. quelle cardiovascolari.

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