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Un minuscolo gruppo di neuroni situato nella parte del tronco encefalico che controlla la respirazione comunica direttamente con una struttura cerebrale coinvolta nelle risposte allo stress. La scoperta potrebbe indicare le basi fisiologiche degli effetti calmanti della meditazione e avere ricadute sullo sviluppo di farmaci contro gli attacchi di panico e altri disturbi.
E’ un piccolo gruppo di neuroni nel tronco cerebrale a regolare i rapporti fra la respirazione e le attività cerebrali superiori connesse a uno stato di calma oppure di agitazione.

La scoperta è di un gruppo di ricercatori della Stanford University, che firmano un articolo pubblicato su “Science”. In prospettiva, il risultato può avere ricadute in campo clinico con lo sviluppo di nuove terapie contro gli attacchi di panico e altri disturbi legati a stati di stress.
Anche se la respirazione è generalmente considerata un comportamento controllato soprattutto dal sistema nervoso autonomo, l’esistenza di strette connessioni con le aree cerebrali che presiedono alle funzioni cerebrali superiori è ben nota e ampiamente testimoniata, per esempio, dagli studi sugli effetti della meditazione, che ha uno dei suoi cardini proprio nel controllo della respirazione.

Tuttavia finora non era chiaro quali fossero i centri e i meccanismi neuronali che presiedono ai rapporti fra respiro e cervello.
In uno studio sperimentale sui topi, Kevin Yackle e colleghi hanno ora identificato il regista di questi rapporti in un piccolo gruppo di neuroni situato nel tronco cerebrale.
Si tratta in particolare di circa 175 neuroni del cosiddetto complesso di pre-Bötzinger, un articolato gruppo di 3000 neuroni circa la cui attività ritmica avvia i movimenti respiratori. I neuroni di questa sottopopolazione inviano delle proiezioni direttamente a un’area del cervello, il locus coeruleus, che ha un  ruolo chiave nello stato di vigilanza in generale, nella focalizzazione dell’attenzione, e nelle risposte allo stress.

Dopo aver eliminato in alcuni topi i neuroni identificati, i ricercatori hanno constatato che la loro respirazione era rimasta perfettamente normale, ma che gli animali rimanevano insolitamente tranquilli anche se erano sottoposti a stimoli che normalmente inducono una risposta di stress.
Dato che questi neuroni possono essere identificati grazie alla presenza di specifici marcatori molecolari, i ricercatori sperano che sia possibile sviluppare in tempi relativamente brevi farmaci in grado di agire selettivamente su di essi.

fonte: LESCIENZE.IT

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Uno studio della Northwestern University Feinberg School of Medicine ha riscontrato che alcune funzioni cerebrali possono essere condizionate dalle fasi della respirazione.
Non c’è niente di più naturale che respirare. Alla base della nostra sopravvivenza, è un processo biologico che compiano di continuo, ci garantisce il necessario apporto di ossigeno e può variare in intensità. Ora i ricercatori della Northwestern University Feinberg School of Medicine per la prima volta hanno suggerito che il ritmo della respirazione è in grado di generare attività elettrica nel cervello e, in questo modo, incidere sulla memoria e su emozioni quali la paura.

Lo studio, pubblicato sul Journal of Neuroscience, ha scoperto che i volontari coinvolti riuscivano a riconoscere più facilmente una faccia spaventata durante la fase di inspirazione rispetto a quella di espirazione. Un effetto simile si è riscontrato anche nel richiamare alla memoria un oggetto, poiché il processo è risultato più semplice mentre si inspira. Ulteriore aspetto evidenziato dallo studio è che la differenza è apprezzabile solo in caso di respirazione tramite il naso, poiché non vi sono discrepanze quando si utilizza la bocca.

Nel dettaglio, gli studiosi hanno notato che l’attività cerebrale muta nell’amigdala e nell’ippocampo quando inspiriamo rispetto a quando espiriamo; infatti, vengono stimolati i neuroni in tutto il sistema limbico. La base di partenza per la ricerca è stata comunque l’analisi di sette pazienti con epilessia per i quali era previsto un intervento chirurgico al cervello.

Pochi giorni prima dell’intervento stesso sono stati acquisiti i dati dai cervelli, grazie a degli elettrodi impiantati da un chirurgo per comprendere l’origine degli attacchi epilettici. In questo modo i segnali elettrici rilevati hanno mostrato la variazione di alcune attività cerebrali con il respiro. Una scoperta che ha spinto gli scienziati a domandarsi se fosse possibile stabilire una relazione proprio fra le funzioni associate alle aree coinvolte e la respirazione. E’ stato perciò chiesto a 60 volontari di indicare più rapidamente possibile il tipo di emozioni espresse da alcuni volti (per esempio, sorpresa o paura) visualizzati al pc, mentre veniva registrato il loro respiro.

I risultati ottenuti sono stati i seguenti: durante la fase di inspirazione i soggetti hanno riconosciuto i visi spaventati (ma non quelli che indicavano stupore) in maniera più veloce che non durante l’espirazione. Un effetto singolare che però è stato riscontrato solo durante la respirazione con il naso e che si annulla in caso si svolga la stessa operazione con la bocca. Nella seconda parte dell’esperimento è stato invece chiesto ai partecipanti di ricordare alcune immagini che apparivano sempre sullo schermo di un PC. Quando le foto erano visualizzate nella fase di inspirazione il richiamo alla memoria è risultato più immediato.

La conclusione evidenziata da Christina Zelano, autrice principale della ricerca, è che nelle situazioni di panico il ritmo della respirazione aumenta e, di conseguenza, la fase di inspirazione è molto più lunga rispetto ai momenti di serenità. In questo modo il respiro accelerato potrebbe avere un effetto sul lavoro che compie il cervello ed aiutare a prendere decisioni più veloci in circostanze pericolose.

fonte: REPUBBLICA.IT

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Respirare è una attività automatica, tuttavia tendiamo sempre di più a compiere questo atto vitale in maniera non corretta. Da piccoli la nostra respirazione viene effettuata con il diaframma in maniera assolutamente naturale, man mano che cresciamo e diventiamo sempre più permeabili agli stress, tendiamo a maturare dei blocchi emotivi che incidono negativamente anche sul nostro modo di respirare limitando alla parte superiore dei polmoni la nostra capacità respiratoria , con conseguente aumento dell’ansia e scarsa energia vitale.

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